Masterchef Italia è stata una piccola rivelazione. Non pochi
i difetti, a partire da quel vezzo particolarmente mesto di cogliere nel modo
più gretto, grandefratellesco, le più inveterate bassezze umorali dei
protagonisti, dal chiagne e fotte allo sputacchio di fiele nei confronti del
lecchino di turno adorato chi da Cracco, chi da Barbieri, chi addirittura da
Bastianich; per non parlare dell’innaturalezza palese dei tre giudici, le cui
frasi spezzate lette, presumibilmente, da un gobbo predisposto da Paulo Coelho,
hanno sovente seminato ilarità. Bei momenti disseminati un po’ ovunque, uno su
tutti l’aver portato migliaia di appassionati di alta cucina, spesso dilettanti
in tale nobilissima arte in catastrofico disuso – ci metto anche il
sottoscritto -, nel tempio di Gualtiero Marchesi, con quei suoi piatti ispirati
all’arte pop che se siano buoni quanto commoventi lo sa solo Dio, ma ragazzi:
che goduria catodica.
Quello che è affascinante, e al contempo estremamente pericoloso, in Masterchef, è l’aver avvicinato in modo vagamente furbetto, ma riuscito, il dilettantismo talentuoso dei concorrenti alla spocchia pluristellata di Cracco e Barbieri. E forse “affascinante” è dire poco, sarebbe forse meglio parlare di una dirompente, eversiva boccata d’aria fresca, tale da sfaldare l’insipido muro dei seriosi della forchetta: di quelli che assaggiano un piatto un po’ strano, con abbinamenti fra noci caramellate e riduzione di patate viola con pene di piccione a mo’ di banderuola, e fanno la faccia dell’intellettuale che finge benissimo di non annoiarsi mentre legge Sartre, terminando l’assaggio con il folgorante evergreen salvagente per quando non si ha nulla da dire: “interessante”.
Il collegamento sorge lampante col mondo del vino. Dacché la
tesi necessariamente infondata di quanto sèguito a scrivere è che gli chef,
dopo l’investitura mediatica a nuovi guru inavvicinabili al normo-palato di
massa, abbiano preso il posto un tempo occupato dai sommelier. Quelli che
ancora oggi, appena appena minati nella loro tronfiezza, perseverano sbrodolosi
a buttare lì sentori di “chiodi di garofano” e “merde de poule”, “pan-briochato”
i più terra-terra. Lo strepitoso mostro partorito dalle farneticazioni
olfattive dei suddetti era stato Antonio Albanese, che dopo infinite inalazioni
iperboliche partoriva un verdetto apodittico: “E’ rosso”.
Il pericolo, si era detto. Il pericolo è che questo format,
capace di amalgamare sacro e profano gastronomico, possa legittimare, stavolta
senza il benché minimo sorriso, quell’archetipo di mediocrità incorporato da
Benedetta Parodi. Che è per gli chef ciò che Antonio Albanese è stato per i
sommelier, al netto della vis comica.
Benedetta Parodi assolve dai loro peccati le pasionarie del
Mc Donald’s con prole al seguito, delle pizze Regina cotte al microonde, con l’acqua
che elimina l’acqua ad accompagnare; ci dice che tutti hanno diritto a mangiare
ogni santo giorno cose elaboratissime pur senza avere il tempo di farle per
bene: non importa preparare un brodo di verdure se ci sono i dadi col
glutammato; il risotto coi funghi lo si può fare benissimo con i funghi
surgelati, magari già cotti, si sa, son secondi che sfuggono; signoreggia e
soverchia la pasta pronta e ricolma di porcherie.
Una questione di velocità, di comodità, la vita non s’arresta un’ora. La battaglia è già compromessa, la guerra finita. Da tempo. Lo si è visto da Fazio, la Parodi a confronto con Cracco: lui fighetto, lievemente altezzoso, sensato, a parlare di “cultura del cibo”, di meno quantità e più qualità; lei indesiderabile, sciatta, a sciorinare la solita solfa della donna che tra figli e lavoro non ha il tempo di fare il brodo con le verdure, e allora è costretta ad acquistare le più invereconde schifezze pronte sugli scaffali degli ipermercati, propalando la schiccheria sottesa per cui un sano e meraviglioso spaghetto aglio e olio non si può fare, giacché è indecoroso. Cercatelo, quel filmato, in cui Cracco perde sonoramente massacrato dagli uppercut della mistress di casa Caressa. Con la beffa, a ogni pugno incassato, di sentirsi dire “Sì, lo so che hai ragione, però…”. Però.
In quell’epifania infantile sovviene, parafrasando Camus, il germe dell’apocalisse che sarà, dove pochi eletti seguiteranno a cibarsi dispendiosamente come da diktat cracchiano, mentre tutti gli altri periranno nel marcio markettato del pressapochismo di stampo parodiano.
Una questione di velocità, di comodità, la vita non s’arresta un’ora. La battaglia è già compromessa, la guerra finita. Da tempo. Lo si è visto da Fazio, la Parodi a confronto con Cracco: lui fighetto, lievemente altezzoso, sensato, a parlare di “cultura del cibo”, di meno quantità e più qualità; lei indesiderabile, sciatta, a sciorinare la solita solfa della donna che tra figli e lavoro non ha il tempo di fare il brodo con le verdure, e allora è costretta ad acquistare le più invereconde schifezze pronte sugli scaffali degli ipermercati, propalando la schiccheria sottesa per cui un sano e meraviglioso spaghetto aglio e olio non si può fare, giacché è indecoroso. Cercatelo, quel filmato, in cui Cracco perde sonoramente massacrato dagli uppercut della mistress di casa Caressa. Con la beffa, a ogni pugno incassato, di sentirsi dire “Sì, lo so che hai ragione, però…”. Però.
In quell’epifania infantile sovviene, parafrasando Camus, il germe dell’apocalisse che sarà, dove pochi eletti seguiteranno a cibarsi dispendiosamente come da diktat cracchiano, mentre tutti gli altri periranno nel marcio markettato del pressapochismo di stampo parodiano.
Ma la colpa è nostra. Di noi uomini, si intende. Le donne si
sono emancipate, sono felici, paiono non avvertire più il desiderio di spendere
il loro tempo in qualcosa di davvero prezioso come la preparazione di una magia
conviviale irripetibile. Vanno capite, sono impegnate e in carriera, hanno
voglia di riscatto e non c’è di che ironizzare. Ci sono le riunioni, le
promozioni, i successi. Tutte cose che si pensava potessero stimolare solo la
serotonina maschile. Forse eravamo tutti in errore. Forse sarebbe il caso, quindi,
per una volta, di prendere in seria considerazione l’idea di assumere il ruolo
un tempo appartenuto alla donna: restare a casa, ad accudire i figli, educandoli alle cose belle. Alle cose buone. E’ sufficiente mettere da parte qualche
retaggio millenario, ma gli uomini sono forti. Possono farcela. Si impegnino, e
stiano loro tra quattro mura amiche e rassicuranti, a dividersi tra il basket
di Fabio e il saggio di danza di Sara, a passare ore davanti ai fornelli
sognando isole tropicali infestate da formidabili veneri nere. Fermare l’apocalisse si può.
La Parodi era mediocre pure come giornalista, poi a studio aperto... E t'ho detto tutto.
RispondiEliminaBastava un po' di Xanax.
RispondiEliminaSi avvicina il terzo anniversario del nostro scambio. Poiché ho notato che sotto ad alcuni dei tuoi magnifici pezzi su Ubitennis sono comparsi di nuovo i commenti, ti chiedo ancora una volta se sei in possesso di QUEI commenti tra il sottoscritto e il fanboy (ex?) di Andrea Rui Scanzi. Purtroppo il nostro dialogo è l'unico ad essere andato perso.
RispondiEliminaSpero tu possa aiutarmi
Sincerely
correnelvento
http://www.ubitennis.com//2009/08/04/214262-montreal.shtml
http://www.ubitennis.com//2009/08/12/217514-murray_tenta_scalata.shtml
Non erano tanto male, dài. ;)
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